Una storia che va raccontata

Era il 2009. O forse i primi mesi del 2010.

Faceva freddo, questo me lo ricordo.

Lavoravo come libera professionista con la Rosi. A Milano. In un consultorio accreditato.

Ci chiama Silvia. Una nostra mamma affezionata.

Suo marito, Ugo, è da tempo ricoverato al centro NEMO di Niguarda, per SLA. 

“Rosi! Irene! Nella stanza a fianco al mio Ugo c’è un fiocco rosa!! Hanno bisogno di voi! Qui nessuno sa di neonati! Venite!”

Vado.

Tram. 

Attraverso Niguarda mentre mi chiedo cosa mai troverò, chi incontrerò.

Mi accoglie Gerardo, il neopapà. E mi presenta Jessica, sua moglie. 

Immobile su una sedia a rotelle per una distrofia muscolare. Può spostare solo le braccia muovendosi sui pollici. E il viso. Parla e sorride. Stop.

Sono emozionati. Da qualche giorno è nata la loro Rachele.

Eccola. Dorme. 

“Ditemi. Di cosa avete bisogno?” chiedo io.

“Rachele non mangia. Non cresce. Non beve il biberon. 

Mi hanno dimessa dall’ostetricia perché potessi tornare qui a curare la distrofia, dicendomi che non avevo latte, che la bambina era calata di peso e che dovevo solo darle l’artificiale. 

Ma Rachele non si sveglia. Non mangia. Mai.”

Sembrava morta. La prendo in braccio, le parlo, la spoglio per svegliarla, provo a lavarla, a cambiarle il pannolino, a darle del latte con il biberon con un po’ di decisione… 

Niente. Dorme. 

Molle. Disidratata. Debole. 

Allora chiedo “Ma Jessica tu l’hai presa in braccio?”

Mi risponde “solo appena nata, me l’hanno messa sul petto, ma poi nessuno mi ha mai aiutata.. Sai me la deve tenere qualcuno..”

Le tocco il seno. Marmo. Gonfio di latte.

Allora prendo Rachele e la avvicino alla sua mamma. 

Lei, di colpo, si sveglia, spalanca gli occhi. Due fanali. 

E apre la bocca cercando di succhiare. 

Non me lo faccio ripetere due volte, la sorreggo e la gliela attacco al seno. 

Rachele succhia, prima piano, debole, poi sempre più vigorosa, regolare, ritmica. Mangia!

Jessica: un fiume di lacrime. E un fiume di latte! 

Dall’altro seno scende una gran quantità  di latte!!

Gerardo non sa più dove guardare. Commosso. Se Rachele, sua figlia che finalmente mangia (e dalla sua mamma!), o se Jessica, sua moglie, che finalmente ride e gode dell’essere mamma!

Io piango. Ma chi mi conosce sa che non è una novita.

E insegno a Gerardo ad attaccare Rachele al seno di Jessica. 

E a gestire la montata lattea, le poppate, a prevenire e curare ingorghi ragadi e mastiti.

Torno anche il giorno dopo. E Rachele bella sveglia, mangia e ci fa tutti contenti aumentando di peso con il solo latte della sua mamma, in un solo giorno. Racconto loro tutto ciò che so del mio mestiere, per aiutarli, e li metto in contatto con un pediatra bravissimo: stanno per ripartire per casa loro, vicino a Reggio Emilia.

Li saluto con tutta la mia e la loro commozione. 

Quel pediatra, una volta, mesi e mesi dopo, incontrato ad un convegno mi racconta che Rachele è stata allattata così, da sua mamma e da suo papà, per molti mesi, cinque credo. 

Non ho mai più avuto loro notizie. 

Ma li porto nel cuore, come la storia più preziosa che ho da raccontare.

Ve la regalo.
A presto, 

Ire

Un pensiero su “Una storia che va raccontata

  1. Che storia commovente!!! ❤
    Ero amica di Ugo, ai tempi dell'università; non appena ho letto "Silvia" nel tuo post, già sapevo che era lei…
    Grazie per aver condiviso con noi questa bellissima storia di vita vissuta.

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